28 settembre 2017

"CAPORETTO"
Milano e la Lombardia
dopo il 24 ottobre 2017



Articolo di Silvano Guidi
 

CONVEGNO

Salone delle Conferenze
Circolo Alessandro Volta
Milano - Via G. Giusti, 16

 


Il Comitato con gli Allivevi della Teullié

 


Sandro Vincenti Presidente Comitato

 


Gianluca Marchesi

 


Gianluca Pastori

 


Andrea Saccoman

 


Giacomo Innocenti

 


Marco Cimmino

 


William Ward

 


Ten. Col. Roberto Faravelli
Comandante del Btg Allievi - Teilié

 


I relatori con gli Allievi

 

Foto©Giovanni Giunta
Foto
©Luca Geronutti

CAPORETTO:
LA SCONFITTA E LA IMMENSA PAURA
CHE CAMBIARONO I DESTINI
DELLA GRANDE GUERRA

Al circolo Volta di Milano il Comitato per il Centenario ha dato vita ad un convegno con i migliori analisti del primo conflitto mondiale per "rivisitare" significato e conseguenze di una débâcle meno enigmatica di quanto tramandata.
Caporetto, non solo un toponimo; non solo disfatta in una battaglia mai metabolizzata da chi la subì; non solo un confine temporale fra anni di logoramento in trincea e la svolta finale verso la Vittoria. Caporetto, oggi piccola località slovena di 4.000 abitanti, un secolo fa fu tutto e il contrario di tutto: la conseguenza di scenari geopolitici; l'effetto degli attriti fra Governo italiano e Comando Supremo; l'esito di evoluzioni tattiche nella guerra ad alta quota.
Questo e tanto altro è stato ricordato e spiegato nel corso di un denso Convegno tenutosi al Circolo Volta lo scorso 28 settembre e organizzato, con il consueto rigore, dal Comitato per il Centenario del gruppo Alpini Milano centro "Giulio Bedeschi".
Ma forse sarebbe ancora più esatto considerare questo Convegno, moderato con impeccabile fair play dall'alpino Gianluca Marchesi, una vera e propria lezione di Storia a più voci, con prospettive oscillanti dalle vette alla pianura e analisi estese ai diversi fronti della Guerra.
Sul palco si sono avvicendati studiosi e docenti universitari: Gianluca Pastori, Andrea Saccoman, Giacomo Innocenti, Marco Cimmino e William Ward. In Sala hanno prestato attenzione cultori di vicende storiche, appassionati della Grande Guerra e giovani allievi della Scuola MilitareTeulié, splendidi nella loro divisa bianca di foggia storica e forse inconsapevoli destinatari di un prezioso testimone di conoscenza.
È toccato al professor Pastori tratteggiare la realtà del fronte italiano in quell'ottobre del 1917. «Fino a Caporetto il nostro era stato un fronte secondario, destinato ad alleggerire il fronte franco-belga» ha puntualizzato il docente della Cattolica. «La rotta e il rischio concreto dell'uscita di scena dell'Italia sarebbe stato fatale per i destini di Francia e Gran Bretagna: ecco perché quella battaglia cambiò l'attenzione degli alleati nei confronti dell'Italia, favorendo l'innesto, a tutto tondo, del nostro Paese nella Grande Guerra contro la Germania». Il relatore ha ricordato il generale clima di sfiducia: degli alleati nei confronti dell'Italia; della nazione contro il Governo destinato ad entrare in crisi e a vedere l'alternanza di Paolo Bonelli con Vittorio Emanuele Orlando; delle riunioni di Rapallo e Peschiera, nel novembre del '17, nelle quali le posizioni franco-britanniche si fecero impositive con l'Italia fino a pretendere il sollevamento di Cadorna dal Comando supremo. Il Re ovviamente respinse "pro forma" la richiesta alleata, ma si affrettò pure ad annunciare che il governo aveva già deciso la sostituzione di Cadorna con Diaz.
L'Italia dopo Caporetto si scoprì bisognosa di tante cose: armi, cibo, rifornimenti. Aveva lasciato sul terreno non solo morti e sbandati, ma armi pesanti ed equipaggiamenti vari, tutte forniture essenziali che potevano essere ripristinate solo con il contributo degli alleati e in speciale modo degli americani. Per la prima volta l'Italia fu costretta a una politica credibile nei confronti degli alleati, mentre in un momento di autentica crisi emerse con forza tutta la debolezza politica del nostro Paese, vera eredità di Caporetto.
Al docente della Bicocca è spettato il compito del raffronto fra Cadorna e Diaz. «I rapporti fra governo e comando supremo furono molto influenzati dai personaggi al vertice» ha esordito cauto Andrea Saccoman, consapevole dell'esplosività del tema e dei personaggi. «Cadorna non era fatto per essere simpatico e non aveva qualità "politiche". Portava addosso il suo fare aspro, la presunzione, la testardaggine di chi credeva di essere sempre nel giusto. Per lui i politici dovevano fornire alle forze armate tutto ciò di cui avevano bisogno e poi non ficcare il naso nelle scelte strategiche e nelle operazioni in generale. Cadorna fu informato sia della neutralità della prima ora sia del patto di Parigi, senza però esserne coinvolto».
«Ogni volta che le posizioni dell'esecutivo gli parevano di ostacolo il Comandante supremo dava o minacciava dimissioni» ha raccontato ancora Saccoman. «E così, di minaccia in minaccia, di dimissioni in dimissioni, Cadorna si liberò di parecchi politici: ministri della Difesa e presidenti del consiglio. Cadorna era sospettoso. Diffidava di tutto e tutti. Cadorna imputava ad Orlando, prima ministro dell'interno e poi presidente del consiglio, di non aver fatto abbastanza per attenuare l'atmosfera disfattista che aleggiava nel Paese. Sembra che furono gli alleati a Rapallo a chiedere la destituzione di Cadorna. Il compito di prenderne il posto toccò al napoletano Diaz, che aveva qualità di mediazione».
Quali furono i meriti di Diaz?, si è domandato Saccoman. E si è risposto: «Riorganizzò il comando supremo, creò un vero clima di squadra. Curò personalmente i rapporti con Re e governo. Cenava con il Re due volte la settimana. Ma tenne solo per sé il comando delle operazioni. E non disse nulla della controffensiva di Vittorio Veneto».
La relazione di Giacomo Innocenti ha sondato il come e il perché un contingente britannico giunse di supporto in Italia. «Cadorna negò dapprima di avere necessità di aiuti. Poi ammise e vennero in aiuto 11 divisioni: 6 francesi e 5 britanniche» sintetizza il docente della Cattolica. «Le truppe italiane furono felici dei nuovi innesti, gli inglesi però vennero schierati in Lombardia, a Mantova, nella ipotesi di un ulteriore collasso del fronte. Pur non impegnati in combattimento francesi e inglesi c'erano e offrivano garanzie alle spalle. Di rimando gli inglesi pretendevano dagli italiani una pressione continua sugli austroungarici».
Gli inglesi presero parte alla battaglia del Solstizio. Come si comportarono? «Piuttosto male» è il giudizio di Innocenti. «Perché la loro tattica delle difese scaglionate, perfetta in pianura, non poteva funzionare in montagna. E furono gli italiani a dover dare loro un supporto». Per la cronaca i britannici restarono in Italia ben oltre la fine della guerra; nelle zone di Lodi, Pavia e Milano si trattennero fino al 1920, per vendere il vendibile dei loro mezzi ed equipaggiamenti e per organizzare il rimpatrio di ciò che non riuscirono a commerciare.
Lo storico militare Marco Cimmino ha fornito un'ulteriore visione interpretativa di Caporetto. «È stata solo la vittoria di un sistema più moderno di operare e combattere su un sistema superato. Nulla di enigmatico. Il sistema di infiltrazione ci ha trovati impreparati. Ma la lezione ricavata dalla sconfitta generò la premessa per la Vittoria finale» ha sentenziato lo studioso. «Caporetto ha rappresentato però anche una grande paura, inoculando nel Paese un sentire diverso. La paura arrivò fino a Milano, perché Milano rappresentava la retrovia vicinissima, situata come era ai piedi delle montagne e con tutta una serie di direttrici che puntavano su Milano: dallo Stelvio, lungo la Valcamonica e attraverso il passaggio fra il lago d'Idro e il lago di Garda».
Ad alleggerire le analisi storiche e a introdurre note di "colore" è intervenuto infine anche un relatore britannico, William Ward, giornalista scrittore ed ex BBC, che ha indugiato sui rapporti italo-britannici, scanditi, a suo dire, da una secolare corrente di simpatia fra i due Paesi, ben prima dello scoppio della Grande Guerra. A testimoniare ciò nomi di prestigio: Garibaldi in visita a Londra nel 1864, il premier Beniamino Disraeli di origine italiana, Antonio Panizzi direttore del British Museum, lo scultore piemontese Carlo Marocchetti ideatore dei 4 leoni alla base della colonna celebrativa di Nelson in Trafalgar Square e di alcuni monumenti funerari di membri della famiglia reale inglese. William Ward ha concluso il suo intervento con un conciliante giudizio: «L'Italia ai tempi della prima guerra mondiale era una specie di start up, un progetto di nazione e la Gran Bretagna si è sempre considerata una sorta di sua protettrice».
L'intensa mattinata si è conclusa con alcune domande del pubblico ai relatori. Ci furono responsabilità di Badoglio nello sfondamento di Caporetto? A rispondere è stato un caustico Saccoman. «Su Caporetto resistono pregiudizi. La verità, quasi mai ricordata, fu che i nemici riuscirono a interrompere quasi tutte le comunicazioni, che allora avvenivano via filo. Ogni battaglia è, nel momento della battaglia, confusione totale. Qual è il grado di controllo che può essere realmente esercitato? Un comandante che ha sotto di sé di 2 milioni di uomini e 65 comandi di divisione può davvero controllare tutto e tutti? Ci fu una règia commissione d'inchiesta su Caporetto. Si è vociferato di 13 pagine di colpe di Badoglio, poi abilmente cancellate; ma in realtà si trattava solo di 2 paragrafi da interpretare in filigrana. La storia militare è fatta di particolari, a volte sapientemente confusi».