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Giunta


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Precursori
dei moderni corpi speciali, fanti impavidi e con preparazione d’élite,
capaci di attacchi rapidi e violenti, di incursioni silenziose e
devastanti, gli Arditi, tanto essenziali nelle fasi ultime della
Grande Guerra quanto frettolosamente rimossi dalla memoria nazionale
per l’incauta associazione tout court con il fascismo, appartengono
a un capitolo della Storia Patria mai scandagliata a sufficienza.
Infatti il pomeriggio della “memoria” è iniziato
con l’impegno formulato dal moderatore del convegno, Generale
Giovanni Fantasia: «Gli arditi sono stati dimenticati.
Noi li ricorderemo».
È toccato al Professore Andrea Saccoman, della Bicocca
di Milano, rompere il ghiaccio. «I reparti d’assalto
in senso stretto sono davvero figli della prima guerra mondiale;
ma in senso lato esistevano da tempo e avevano radici nella fanteria
e nella cavalleria di tutti gli eserciti, principali destinatarie
degli assalti a seconda delle situazioni tattiche delle battaglie»
ha esordito il docente. «Ma durante la prima guerra mondiale
avvenne un fatto non previsto e non prevedibile: il movimento delle
armate tedesche verso ovest venne ostacolato dai francesi con trincee
e fortificazioni cosicché, a un certo punto, diventato impossibile
ogni aggiramento, tutto l’asse compreso fra Nieuwpoort in
Belgio e il confine svizzero divenne un’unica e complessa
linea di doppia trincea e il conflitto, da arioso e movimentista,
si immobilizzò in guerra di difesa e fortezze. Nacque così
l’esigenza di svincolarsi dalla staticità e di inventarsi
qualcosa che permettesse colpi di mano contro i capisaldi nemici.
I primi ad agire in tale direzione furono i tedeschi, i francesi
fecero altrettanto e gli italiani vennero per ultimi con gli Arditi,
ma furono coloro che segnarono i progressi più significativi».
Il Dottor Angelo Pirocchi, storico e ricercatore, è
risalito alle origini dei reparti d’assalto del Regio esercito.
«All’inizio ci furono gli esploratori, truppe di ricognizione
che, alla bisogna, potevano trasformarsi in truppe d’assalto;
poi presero piede le compagnie della morte, destinate ad essere
soprattutto “tagliafili”; fino a quando si scoprì
che i reticolati potevano essere divelti con le bombarde»
ha cominciato ad elencare lo studioso. «Altro prodromo sulla
strada della nascita degli Arditi fu l’individuazione dei
più valorosi, non da far confluire in reparti speciali, ma
da trattenere nelle trincee per essere da esempio e galvanizzare
i commilitoni. Fino a quando non fu rinvenuto un manuale degli assaltatori
tedeschi, subito distribuito per conoscenza e per trarne ragione
di emulazione. Gli Arditi nacquero ufficialmente il 26 giugno del
1917, per diventare specialità operativa quasi un mese più
tardi, il 29 luglio. Armati in modo speciale, ben nutriti, ben pagati,
ben addestrati, si fregiavano di un distintivo speciale per essere
riconosciuti».
È stata quindi la volta della relazione di Roberto Roseano,
storico, scrittore e fotografo, ma soprattutto nipote di un Ardito
e autore di una meritoria ricerca fra archivi e registri militari
che ha disseppellito memorie mai radiografate con tanto rigore.
«Mio nonno aveva già combattuto sulla Bainsizza. Gli
hanno offerto di entrare negli arditi: dovevi essere celibe e senza
figli. E questo già fa comprendere quanto fosse alto il rischio
di lasciarci la pelle» ha esordito con il ricordo familiare
Roseano. «La scuola di formazione faceva una bella scrematura
fra chi era coraggioso e chi no. Il motto latino degli arditi “Si
fractus illibatur orbis, impavidum ferient ruinae”
citazione dotta incomprensibile ai più, riassumibile più
tardi nel più sintetico “me ne frego”,
svela l’indole di quei combattenti. Mio nonno ha partecipato
alla battaglia dei tre monti e poi a quella del Solstizio. Tornò
incolume a fine guerra e quando morì volle essere accompagnato
alla tomba con la bandiera degli arditi».
Il Dottor Roseano ha tentato di rispondere con dei numeri a tutta
una serie di domande. Quanti Arditi hanno sacrificato la loro vita
per la Patria? Da quali Regioni e da quali città provenivano?
Quanti anni avevano? Quanti sono stati decorati? Quali i riconoscimenti?
Quali i reparti con maggior numero di decorazioni? È così
via. Interrogativi non tutti colmati in modo esaustivo. Ma alcuni
punti fermi lo storico Roseano li ha raggiunti. I decorati sono
stati 3.021 e le decorazioni 3.491. La Regione con più eroi
è decisamente la Lombardia, anche in funzione della maggiore
popolazione. Ma, a prescindere dalla cifra assoluta, la Lombardia
mostra ugualmente un qualcosa in più (18,4 % di decorati,
rispetto al 14% di popolazione). Il totale degli arditi caduti è
stato di 3.145 su un numero complessivo di 30-35.000 uomini inquadrati
come arditi. I caduti quindi rappresentano il 10-15 per cento del
totale. «Credevo di più» ha commentato Roseano.
Al Professore della Cattolica Gianluca Pastori è
toccato il compito di collocare gli Arditi anche al di fuori dei
campi di battaglia, in quel mondo parallelo dove politica e società
si intrecciano. «È un terreno scivoloso questo. La
storia recupera la memoria, anzi tante memorie. E la memoria a posteriori
ingigantisce e deforma gli eventi. Così è accaduto
che nella memoria a posteriori della nazione arditismo e fascismo
siano stati accomunati in un rapporto surrettizio e non correttamente
identificativo. Caduto il fascismo non si è più potuto
parlare dell’arditismo».
Il docente ha tenuto a operare un recupero di oggettività
storica. «Gli Arditi sono serviti a dimostrare al resto dell’esercito,
alla Nazione, ad alleati e nemici che l’Italia si muoveva.
Gli arditi sono stati una straordinaria macchina di propaganda.
È la propaganda che fece crescere il mito degli arditi, i
quali erano mobilitanti per la trincea. In fondo ognuno sentiva
in sé di poter diventare ardito. Nacque una retorica non
sterile, ma autenticamente in grado di rispecchiare uno stato d’animo.
Perché no?.. L’arditismo fu un movimento da un lato
spinto dal governo, ma fu anche un’adesione dal basso. La
politica, come la guerra, non si fa in un vuoto culturale; ma in
un contesto che premia certi valori. L’arditismo espresse
non solo un modo di combattere, ma una filosofia per cambiare anche
altro: società, nazione, nazionalismo.... così si
prestò a mille interpretazioni. Nell’arditismo c’è
davvero tutto: anche l’anarchia, anche il socialismo, anche
la pulsione rivoluzionaria. A guerra finita tutti questi nodi vennero
al pettine . Dal punto di vista dell’ordine pubblico gli arditi
congedati furono molto destabilizzanti. Ecco perché coloro
che rifiutarono il congedo vennero spediti prima in Libia e poi
in Albania. Nacque così la “leggenda nera”».
Ultimo in ordine di intervento, ma non ultimo quanto a prestigio
e a spessore culturale è stato il Professore Gastone Breccia,
che ha tracciato una storia della funzione dei corpi speciali dall’antichità
ai giorni nostri. Il docente dell’Università di Pavia
ha ricordato il testo “madre” ispiratore degli assaltatori
di tutto il mondo, un testo cinese del IV secolo a.C. di Sun Tzu,
che descrive “la teoria dell’acqua” nei combattimenti.
«Evitare i pieni e attaccare i vuoti: era questo il principio
da seguire» ha detto Breccia. «Ci sono azioni talmente
difficili da condurre che presuppongono l’impiego di truppe
speciali. Bisogna sapersi adattare al nemico. Bisogna saper usare
esplosivi, armi sofisticate, avere capacità di infiltrazione,
saper andare oltre le linee nemiche, condurre raid e incursioni
a vasto raggio. Nel ‘700 cominciano ad apparire piccoli contingenti
di truppe capaci di andare oltre, guidate da comandanti dotati di
grande ardimento. Questa linea di pensiero approda a un punto fermo
durante le guerre napoleoniche. Le truppe d’assalto conoscono
un vero sviluppo durante la Grande Guerra come tentativo di superare
lo stallo. Vengono impiegate granate a mano, lanciafiamme, cannoni
a canna corta calibro 75, mitragliatrici leggere. Solo i cannoni
non avranno fortuna. Erano cannoni di appoggio ravvicinato. La procedura
tattica è proprio quella dell’acqua: sapersi infiltrare.
Dopo la seconda guerra mondiale il confronto fra potenze contrapposte
cambia registro per la deterrenza nucleare. Le forze speciali vengono
utilizzate per risolvere situazioni di crisi localizzate. Sono sempre
piccole unità speciali destinate a operare in contesti semisegreti
e circoscritti. Formate da professionisti di altissimo valore, ma
che funzionano solo se alle spalle hanno una strategia efficace.
Le forze speciali possono risolvere problemi spinosi, ma solo se
ci sono volontà politica e obiettivi strategici chiari»
A conclusione del Convegno il presidente del Comitato per il Centenario,
avvocato Sandro Vincenti, ha donato a tutti i relatori e a Luigi
Boffi, presidente della Sez. ANA di Milano, una preziosa agenda
con copertina in pelle, personalizzata da iniziali.
Il successo del Convegno è stato grande, caldo, unanime e
chiuso da un breve e conviviale rinfresco. |